L'eredità di Losanna (1974-2014) per le chiese. Un'intervista a Giuseppe Rizza

Le “Giornate teologiche” dell’IFED di Padova sono un appuntamento prezioso per chi vuole pensare la fede a 360° gradi ed essere stimolato a coltivare il sogno-progetto di una testimonianza evangelica ariosa ed incisiva. A settembre 2014 si sono occupate dell'eredità di Losanna, a 40 anni dal congresso di Losanna per l'evangelizzazione del mondo dove è stato presentato anche l'ultimo fascicolo della rivista Studi di teologia proprio sull'eredità di Losanna. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Rizza, economista a Trento e incaricato di corsi all’IFED, nonché pastore della chiesa CERBI di Trento.

Come può essere riassunta l’eredità di Losanna?

La riassume bene una citazione dal Patto di Losanna: “tutto l’evangelo da parte di tutta la chiesa a tutto il mondo”. E’ un appello a prendere la Bibbia sul serio, a farlo come chiesa intera penetrando tutto il mondo, non solo dal punto di vista geografico, ma anche sociale e culturale.

Tu hai partecipato al Congresso di Città del Capo nel 2010. Qual è il punto centrale dell’Impegno di Città del Capo?

La missione non è un aspetto della vita tra gli altri, ma la dinamica complessiva della vita intera trasformata dall’evangelo dell’amore di Dio.

Come si distingue il Movimento di Losanna da altre proposte missionali, come ad esempio quelle del movimento ecumenico o quelle di Papa Francesco?

Il Movimento di Losanna mantiene un forte ancoraggio al vangelo biblico, anche ai suoi aspetti “politicamente scorretti” (il peccato, il giudizio di Dio, la perdizione, ecc.) e scevro dalle incrostazioni pagane che sono presenti nella visione di Francesco (la mariologia, le tradizioni folcloristiche, ecc.). Inoltre ha un visione organica e plurale della chiesa e non è ossessionato dal ricondurre tutto ad un’istituzione ecclesiastica.

Uno dei dati emersi alle Giornate teologiche è stata la scarsa attenzione delle chiese evangeliche italiane all’eredità del Movimento di Losanna. Come si spiega questa negligenza?

La disattenzione è probabilmente il frutto di diversi elementi: la difficoltà latina di pensarsi come parte di un tutto più grande; la dimensione locale della chiesa; una certo denominazionalismo, assieme alla dimensione nazionale della lingua. Il Patto di Losanna è di fatto una confessione di fede e alcuni sono stati scettici sulla bontà di avere una confessione di fede scritta.

Cosa si può fare a livello della chiesa locale per favorire la circolazione dei documenti e per provare a farli fruttare? Ci sono esperienze significative in questo senso?

I testi di Losanna (il Patto di Losanna, così come il Manifesto di Manila e l’Impegno di Città del Capo) possono essere oggetto di letture e condivisioni comunitarie. Si tratta anche di documenti di studio e di approfondimento che facilitano le connessioni teologiche e spirituali con l'evangelicalismo biblicamente solido, storicamente consapevole e globalmente presente. Si prestano benissimo a un uso locale. Le chiese che lo hanno fatto ne sono state benedette.

Quali sono i benefici che una chiesa locale può trarre dall'esporsi all'eredità di Losanna?

Innanzi tutto respirare aria sana, fresca e frizzante. Essere confrontati con il meglio che l’evangelismo mondiale abbia prodotto in termini di dichiarazioni negli ultimi 40 anni è una medicina, un ricostituente e anche un energizzante per muoversi nella missione nella propria città e nella nazione.