Intervista a Matteo Clemente

Dal 6 al 9 marzo scorso si è tenuta in Olanda la prima Conferenza europea delle Chiese riformate.
La Conferenza internazionale delle Chiese riformate, nata nel 1982 su iniziativa della Chiesa Libera di Scozia e delle Chiese Riformate in Olanda, raggruppa 25 denominazioni riformate sparse nel mondo.
La Conferenza in Olanda del 2007 è stata preceduta da simili incontri in Scozia (1985), Canada (1989), Olanda (1993), Corea del Sud (1997), Stati Uniti (2001), e Sudafrica (2005).
Mentre la prossima conferenza è programmata per il 2009 in Nuova Zelanda. All’incontro olandese era presente Matteo Clemente, anziano della chiesa di Milano in rappresentanza delle CERBI, a cui abbiamo posto qualche domanda:

Redazione: Questo era la prima volta che un rappresentante delle Chiese evangeliche riformate battiste in Italia partecipava ad un conferenza europea di Chiese riformate. Quale valore ha per le nostre chiese il collegamento con questa realtà internazionale?

Matteo Clemente: Un valore irrinunciabile per più di un motivo: innanzi tutto la necessità di dare un respiro koinoniale internazionale alle nostre chiese: siamo sì una modesta realtà nazionale, ma nient’affatto provinciale, che desidera relazionarsi in modo significativo a realtà similari sia a livello europeo che internazionale. Vogliamo altresì essere un punto di riferimento credibile e importante per altre chiese, agenzie ed organismi evangelicali riformati all’estero che intendono investire risorse umane e non solo nel nostro Paese. In ultimo, ma non per importanza, le chiese CERBI hanno la consapevolezza di disporre, per la grazia di Dio, di risorse e competenze da porre al servizio di altri, onde promuovere una riflessione specificatamente evangelica non solo in ambito europeo, in particolare sul cattolicesimo romano e rispetto a problematiche etiche e bioetiche, peraltro di grande impatto e rilevanza. Perché la sensazione è che all’estero gli evangelici siano alquanto deboli e poco evangelicamente orientati su tali ambiti specifici, i quali peraltro sono in relazione tra loro; perché una visione irenica del cattolicesimo è alla base della tendenza di non pochi evangelici all’estero a riconoscerlo quale loro portavoce affidabile in materie di etica e bioetica.

R: Quale è stato il tema trainante della Conferenza olandese?

MC: Più temi sono stati posti all’attenzione dei delegati intervenuti, senza alcuna pretesa di voler essere esaustivi e - io dico - senza che rispetto ad essi si siano aperti prospettive nuove e di più ampio respiro. A riguardo, devo confessare, di aver avuto nostalgia di casa! Credo che non sempre si è consapevoli delle sfide che si ricevono nell’ambito delle chiese CERBI. L’intento dichiarato della conferenza era creare un’opportunità di scambio e conoscenza reciproci che hanno certo aiutato la comunione e la bella interazione tra i convenuti, meno un confronto adeguato e serrato su le questioni via via sollevate.

R: Quale posto ha occupato il tema dell’evangelizzazione?

MC: Vi è stato un “missions’ day” nel quale aspetti legati alla missione e all’evangelizzazione sono stati presentati nei workshops che a scelta si potevano frequentare: la testimonianza verso Israele, la missione nelle città, la fondazione di chiese nelle metropoli europee, le sfide poste dalla postmodernità, eccetera. L’intento era informare sull’esistente, favorendo lo scambio di opinioni, esperienze e problematiche, individuare punti d’interesse comuni e temi per future conferenze, oltre che incoraggiare la preghiera specifica. Personalmente ho trovato utile sentir parlare dell’attività di una chiesa multiculturale in Amsterdam, in cui persone le più disparate sono portate a vivere insieme la loro fede. In serata una relazione sull’Islam in Europa ne coglieva sia i pericoli che le opportunità. La sensazione è stata che per una giornata intenzionalmente focalizzata sulla missione altre tematiche, più strategiche in un’ottica europea, potevano essere individuate.  

R: Sono state affrontate anche problematiche di carattere etico sociali?

MC: Non erano in agenda specifiche tematiche di natura etico-sociali, se si esclude una relazione a due voci (un pastore e un politico locale) sul ruolo delle chiese riformate in una europa unita, a cui ha fatto seguito una discussione aperta, incentratasi sull’opportunità o meno di un partito cristiano, che mi è parso non abbia aiutato a fare chiarezza sulle vere questioni in gioco. La mia percezione è che le questioni etico-sociali forti del momento non fossero in agenda non per una svista inconscia dei promotori della conferenza, ma forse perché poco presenti nell’orizzonte culturale di quelle chiese, che pure si riconoscono un mandato culturale a tutto campo.

R: Ci sono state prese di posizione su questi temi?

MC: Purtroppo su nessun tema tra quelli trattati vi è stata una presa di posizione comune: un altro aspetto mancante che mi ha fatto sentire un privilegiato a casa! E’ un vero peccato quando la comune riflessione, su temi pure importanti per la vita delle chiese, non sappia poi tradursi né coagularsi in documenti significativi tali da costituire un comune riferimento sia nel precisare lo stato presente della questione che nel favorire ogni ulteriore necessaria comune riflessione. 

R: Che impressione generale ti sei fatto?

MC: Alle iniziali resistenze, dinanzi alla sfida che mi veniva posta, ha fatto seguito un sentimento di gratitudine per l’opportunità che mi veniva data di rappresentare le chiese CERBI. Ho apprezzato l’accoglienza e il clima fraterno e informale che ha caratterizzato i vari momenti delle giornate di conferenza. L’impressione generale e che gli scopi degl’organizzatori siano stati raggiunti in modo soddisfacente, fatte salve le considerazioni anzidette. Resta, a mio modesto avviso, la necessità ineludibile per le chiese che si legano in modo significativo alla Riforma, al Puritanesimo e ai movimenti di Risveglio successivi, di vivere la propria fedeltà alla verità rivelata facendo i conti seriamente con le questioni vere del proprio tempo; perché il semplice rimando storico alla fedeltà altrui può costituire un modo per sfuggire alle proprie responsabilità del momento presente. Il richiamo alla fedeltà diviene mera formalità se non tiene conto dell’elemento storico-esistenziale, perché la teologia non è mai una riflessione astratta avulsa dalla realtà.

 

Interview with Matteo Clemente

In Holland, 6th-9th March, the European Conference of Reformed Churches was held. The International Conference of the Reformed Churches, born in 1982, following an initiative by the Free Church of Scotland and the Reformed Churches in Holland, gathers together 25 reformed denominations from around the world. This years conference (2007) was preceeded by similar meetings in Scotland, (1985), Canada (1989), Holland (1993), South Korea (1997), USA (2001), and South Africa, (2005). The next one is scheduled to be held in New Zealand in 2009. Pastor Matteo Clemente from Milano, representing CERBI was present at the Conference, and we have asked him the following questions:

Editor: This is the first time a representative from the Evangelical Reformed Baptist Churches has been present at a European Conference of the Reformed Churches. What is the value of a relationship with this international body of church for our own churches?

Matteo Clemente: There are more reasons than one as to why it is important. First of all it’s necessary for our churches to have a koinonia which is international: although we are small in size we are not provincial in our outlook – we desire to interact in a significant way with like-minded realities at a European and International level. We also want to be a credible reference point for other churches, agencies and evangelical reformed organisations abroad which are seeking to invest energy in Italy and elsewhere. Lastly, although not the least, the Evangelical Reformed Baptist Churches of Italy are aware that they have a rich heritage which God has entrusted them that they can make available to others – an understanding of Roman Catholicism, an approach to bioethics which is not only unique but efficacious, to name but a couple. We have a clear sense that abroad these particular areas are weakly developed from a specifically evangelical and biblical backdrop: it’s as if there is a need for a stronger grasp of the issues at stake.

Editor: What was the central theme of the Dutch Conference?

MC: There were several issues which were brought before the delegates but most of them were developed only in partial way and without any new perspectives. I would have to say that I really missed the richness of our churches in Italy. We in CERBI don’t always appreciate the richness of God’s blessing on us. There was, however, the clear intention to provide an interchange between us all. Although major issues weren’t developed in a significantly vital way, this was successful and we all got to know one another much better.

Editor: Was much space given to the topic of evangelisation?

MC: There was what was called a ‘missions’ day where various workshops were offered: the witness to Israel, urban evangelisation, founding churches in European metropolis, the challenge of post-modernity, etc.  The goal  was to favour an exchange of ideas, experiences, as well as developing specific points of interest which can become the subject of future conferences, as well as giving us specific topics for prayer.  One evening was dedicated to Islam in Europe in which both the  dangers and the opportunities were underlined. It was a day dedicated to missions and mission themes from a European angle.

Editor: Were there any sessions focussing on  problems of a social and ethical nature?

MC: Although there were no specific items of this nature on the agenda there was an evening session when a pastor and a local politician discussed the role of the reformed churches in a united Europe. This was followed by an open conversation which zeroed in on the opportunity (or less) of a Christian political party, but I don’t think it really got to the heart of the question. My perception would be that subjects of a social or ethical nature were not at the heart of the Conference not because they were forgotten by the organisers but because the churches themselves are distant from these issues even though they confess them to be a part of their cultural mandate.

Editor:
Were there any declarations made concerning any particular issues?

MC: Unfortunately there were no collective statements made about any issue. In fact, this was one of the things that I missed from my home background in Italy! It’s sad when a common discussion on important subjects fails to find a communal written agreement which can become a valid reference point for future development for the churches themselves.

Editor:
What was your  general impression of the Conference?

MC: Beyond the initial reservations and the challenge of such a Conference, I was thankful for the chance of representing CERBI. I appreciated the warm fellowship and hospitality which characterised the Conference. The overall impression was that the goals of the organisers were reached. In my own opinion I think there is the necessity, an inescapable one, for the churches which relate in a significant way to the Reformation, to Puritanism and the following periods of Revival, to show their faithfulness to this heritage by seriously faces the challenge of our times. Simply referring in a formal manner to those epochs is not enough: it may even be a way to escape our present responsibilities! Theology is never an abstract reflection distant from reality. Our reformed heritage demands that we face the challenge of our time.