Losanna III. Un’analisi introduttiva
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A Cape Town 2010 – Losanna III - più di 4000 leader cristiani provenienti da ogni angolo della terra si sono incontrati per discutere sulle opportunità e sulle sfide che stanno di fronte alla chiesa globale (e universale) nelle sue dinamiche missionarie, in vista dell’evangelizzazione del mondo. Si tratta di un congresso organizzato in collaborazione all’Alleanza Evangelica Mondiale (WEA) che ha fornito un contributo centrale al disegno e all’attuazione del congresso.
I promotori (da Doug Birsdall, che non è solo, ma ha alle spalle l’eredità di J.Stott e di B. Graham) hanno così voluto far convergere pastori, teologi e intellettuali, missionari e agenzie para-ecclesiali, istituzioni e movimenti evangelici a Cape Town, nella speranza che dalle conversazioni e dalle molteplici interazioni rese possibili da un’eccellente organizzazione, ognuno sviluppasse una consapevolezza dei problemi e delle opportunità presenti in ogni parte del mondo. L’obiettivo è quindi quello di sviluppare una piattaforma condivisa sulla quale pensare e agire una strategia missionaria per il XXI secolo.
Nulla, però, si improvvisa. Si parte, infatti, da Losanna I (1974), passando da Losanna II (Manila, 1989). Il patto di Losanna (1974) rimane ancora uno tra i documenti più importanti e influenti dell’evangelicalismo. Una specie di “punto di raccolta”, un epicentro teologico, etico e missionario da cui continuare a trarre guida e beneficio.
Losanna III è tutto sommato il tentativo di rinnovare questa visione.
L’evangelizzazione autentica costringe “tutta la chiesa” a portare “tutto il vangelo, a tutto il mondo”. E “tutto il vangelo” significa, nelle parole di Chris Wright (coordinatore del Lausanne Theology Working Group), “portare il messaggio di condanna del peccato e della redenzione e di Dio” e - allo stesso tempo -operare con passione contro “la tirannia politica, lo sfruttamento economico, la corruzione, la sofferenza dei poveri e degli oppressi, la brutalità e ogni forma di violenza”.
Nessuno di noi è sufficiente per un obiettivo del genere. Per questo motivo Dio si è creato un popolo, con una molteplicità di doni e di vocazioni. Solo in questo modo è, di fatto, possibile impegnarsi affinché tutta la chiesa testimoni tutto il vangelo a tutto il mondo.
Le statistiche di Operation World pare siano state determinanti negli altri paesi. Il numero dei delegati è proporzionale alla popolazione, anche se un certo numero di delegati è stato aggiunto per il profilo teologico e missionario di alcuni. Ad esempio, la delegazione USA ha circa 500 delegati, Canada 60, 230 i cinesi invitati (ma assenti perché non autorizzati dal loro governo). La Spagna è presente con 25 persone, l’Etiopia con 60, l’Algeria con 7, la Corea con 120. L’Italia con 10.
Una nota di contrasto. A Edimburgo nel 1910 erano presenti 1200 delegati: 500 nord americani, 500 britannici, 4 asiatici, 0 africani. Il mondo è cambiato, davvero.
Cape Town 2010 non è quindi una mappa fedele, riprodotta in scala, dell’evangelicalismo mondiale. Rimane sicuramente e comunque uno degli eventi più globalmente significativi nella storia del popolo di Dio.
Losanna III consolida lo shift da una prospettiva cristomonista della missione a un approccio consapevolmente trinitario e biblico. La Missio Dei che emerge pone, infatti, l’enfasi necessaria sulla priorità di Dio quale soggetto mandante e missionario per eccellenza, attraverso l’opera del Figlio e dello Spirito. Le comunità cristiane, quindi, non possono che partecipare alla fondamentale (e costitutiva) missione di Dio nel mondo. L’ampiezza di quest’orizzonte è notevole e inclusiva. L’evangelizzazione non è più contrapposta all’impegno sociale, l’attenzione per le prassi comunitarie non è sganciata dall’integrità individuale, la contestualizzazione non è invito al relativismo, ma all’incarnazione autentica del vangelo nelle molteplici culture, la testimonianza e la proclamazione non sono indipendenti dalla necessaria unità spirituale tra cristiani.
L’appello che è arrivato da Losanna III invita quindi a non separare il popolo di Dio dalla missione. Si tratterebbe di un’operazione illegittima dal punto di vista storico e funzionale. Non solo la chiesa, il popolo di Dio, è il risultato dell’azione salvifica di Dio, ma il progetto redentivo di Dio è la raison d’étre della comunità cristiana. La chiesa, insomma, esiste per la missione, come il fuoco esiste per bruciare.
Le conseguenze ecclesiologiche di questa prospettiva sono però solo accennate nel Commitment. Il corollario inevitabile è però abbastanza semplice da dimostrare: occorre analizzare con attenzione la dimensione contestuale della vita del popolo di Dio. Le comunità locali, infatti, esistono in specifiche e diverse configurazioni sociali, culturali ed economiche. Non è forse vero che la missione delle chiese deve tener conto di fattori quali la presenza nel tempo, la prossimità al potere politico, la dimensione istituzionale (si tratta di una chiesa istituzionale o di una chiesa/famiglia), ecc. La conclusione da fare è forse che la legittima molteplicità dei modelli di essere popolo-di-Dio-in-missione non deve mai inficiare l’autenticità e la radicalità del messaggio della croce.
Probabilmente, una delle istanze più forti di Losanna III è quella che riconosce e recupera il bisogno di una nuova riforma della chiesa centrata sul vangelo e movimentata dalla potenza dello Spirito. Sia la cattolicizzazione (nel senso romano) del movimento, sia la sua politicizzazione liberale (nel senso teologico) evitano la certezza, la responsabilità e la radicalità della grazia. L’obiettivo rimane sempre quello di evangelizzare, contribuendo a creare nuove persone e un’umanità rinnovata la cui vita testimonia l'autenticità della propria fede. Per questo la profonda unità del popolo di Dio e la fedeltà biblica sono presupposti inalienabili alla missione di Dio.
Umilmente e senza trionfalismi di sorta, come insegna Losanna III.
Giuseppe Rizza - Trento, 27 ottobre 2010