Sfide per le
chiese confessanti in tempi di emergenza (I)
Sulla
celebrazione del
culto
L’emergenza
della pandemia del coronavirus sta mettendo alla
prova tutti: lo stato che prende misure
eccezionali, il sistema sanitario che si trova
sovraccaricato, l’economia che deve fronteggiare
la recessione, le scuole che devono re-inventare
la didattica, le famiglie che devono vivere chiuse
in casa, … Anche le chiese evangeliche hanno
davanti a loro una situazione inaspettata.
Uno degli elementi centrali della vita comunitaria
è sospeso: si tratta della dimensione
dell’incontro fraterno, del culto comunitario a
Dio, della prossimità vissuta in modo
interpersonale e fisico. Tutto questo è per il
momento congelato, in quarantena. Certamente, ci
sono i mezzi tecnologici che possono aiutare ad
affrontare l’emergenza. Grazie a Dio, vi sono
numerose piattaforme che consentono utilmente di
mantenere contatti e scambiare informazioni.
Occorre quindi impratichirsi con questi strumenti
nuovi. Essi possano sopperire ad alcune funzioni,
ma non sono una sostituzione 1 a 1 della vita
comunitaria. Per quanto utili e necessari,
lasciano dei vuoti, hanno delle lacune. Inoltre,
la tecnologia non è mai un mero strumento, non è
mai “neutrale”. Porta con sé una pre-comprensione
di un mondo a cui dà accesso. Il punto è che non
bisogna respingerla, ma usarla con realistica e
critica consapevolezza. In gioco c’è
l’ecclesiologia che si professa.
Soprattutto, ciò è vero per chiese “confessanti”:
chiese, cioè, di cui si diventa membri in risposta
personale ad una chiamata di Dio cui segue la
professione di fede pubblica, l’amministrazione
del battesimo e un impegno al discepolato nella
vita della chiesa. Inoltre, le chiese confessanti
sono anche quelle chiese che, nel rispetto dei
ruoli ministeriali degli anziani, praticano il
sacerdozio universale nei culti tramite preghiere
e condivisioni dei membri durante i culti. Sono
anche chiese per cui l’amministrazione
dell’ordinamento della Cena del Signore, in linea
con la comprensione riformata della fede, è parte
costitutiva del culto. La tecnologia può solo in
parte sopperire a queste esigenze.
Per una chiesa di popolo o moltitudinista (cioè
una chiesa cui si accede per battesimo da infanti
o una chiesa così numericamente grande da perdere
la dimensione “impegnativa” della vita della
chiesa), in fondo la tecnologia consente di
arrivare ad un risultato compatibile con le
attese: un culto online e monologico guidato da
una persona o da un gruppo ristretto di
professionisti (musicisti), cui gli altri
“assistono” da casa a loro piacimento, senza
possibilità di intervenire e senza possibilità di
condividere la Cena del Signore insieme. Per una
chiesa confessante è diverso. Mentre la
predicazione può essere tecnicamente riprodotta da
remoto e con essa anche parti della liturgia,
l’esercizio pubblico e comunitario del sacerdozio
universale è difficoltoso se non impedito in
queste tipologie di culto monologico. Tutte le
forme di diffusione della Parola di Dio vanno
apprezzate e sostenute, ma bisogna al contempo
misurarne le implicazioni per la vita della
chiesa.
E poi la Cena del Signore è ostacolata se non
impedita dalla dispersione delle persone nelle
loro case, alcune delle quali sono da sole davanti
allo schermo. Certamente, nella teologia
evangelica gli ordinamenti del Signore,
riconosciuti nella loro importanza, sono “secondi”
nell’economia complessiva della vita cristiana.
Come la Riforma ci ha insegnato, la grazia di Dio
ci viene donata “per fede soltanto” (sola fede)
tramite “Cristo soltanto” (solo Cristo); gli
ordinamenti sono atti che simboleggiano la fede,
ma non la causano, né la trasmettono. Questo
significa che la chiesa può sopravvivere anche con
una sospensione temporanea della celebrazione
degli ordinamenti. Resta da vedere l’effetto a
lungo termine di questo stop.
Insomma, la pandemia del coronavirus chiama in
causa la nostra ecclesiologia. Il modo in cui
siamo chiesa in questo tempo di sospensione e di
isolamento, alla ricerca di soluzioni praticabili,
dice molto di cosa è per noi la chiesa e di come
una chiesa risponde ad uno stress-test come è
quello che stiamo vivendo.
Leonardo De Chirico
17/3/2020
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