Sfide
per le chiese confessanti in tempi di emergenza
(X)
Sulla bioetica del coronavirus
L’emergenza del covid-19 sta
sollecitando la bioetica e sottoponendo a stress
test anche le scelte fatte in passato. Non se ne
parlamolto perché l’attenzione è concentrata sui
numeri del contagio: sui modi di contrastarne la
diffusione e di curarne l’aggressività. Nello
sfondo però cisono almeno tre questioni
bioetiche che sono chiamate in causa:
1. L’allocazione delle
risorse destinate alla sanità. Ci si è resi
conto oggi che le scelte fatte ieri in termini
di allocazione di risorse alla sanità pubblica
(soldi, investimenti) non sono adeguate ad
affrontare l’impatto che l’emergenza ha avuto
sulla sanità pubblica. Non ci sono abbastanza
unità di terapia intensiva, abbastanza
ventilatori, abbastanza mascherine, abbastanza
personale medico ed infermieristico. Oltre a
questo, da più parti si dice che non ci sono
stati sufficienti finanziamenti pubblici alla
ricerca scientifica. Alcuni evocano i “tagli”
alla spesa sanitaria, incolpando questo o quel
governo di averli operati. La questione è
complessa perché richiama profili politici,
legislativi, macro-economici, … ma anche etici.
Nell’allocare risorse noi compiamo una scelta
etica: che sanità pubblica vogliamo? Cosa copre?
Come si finanzia? Quanto “universalista” deve
essere in modo che nessuno sia scoperto? Quanto
“aziendalista” e rispondere a criteri di
sostenibilità? Quanto dipendente dai contributi
di ciascuno? Quanto dai bisogni? Chi la gestisce
e come? Insomma, al di là delle polemiche del
momento, ciò che è in gioco è l’architettura
della sanità pubblica; e questa è una questione
anche bioetica. Quale sistema sanitario
garantisce un miglior punto di incontro tra le
istanze di giustizia, responsabilità e
sostenibilità? L’etica pubblica evangelica ha
qualcosa da dire in proposito?
2. L’allocazione delle
risorse terapeutiche ai pazienti. Oltre alla
questione macro, c’è anche un problema bioetico
che riguarda la micro-allocazione delle risorse.
Con l’aumento della domanda di posti letto in
terapia intensiva e di ventilatori, c’è stata la
corsa contro il tempo per ampliare l’offerta in
modo che tutti i malati potessero accedervi. In
molti casi, ciò non è possibile. Non si può dare
“tutto a tutti” e bisogna fare delle scelte.
L’etica fa i conti con la spinosa questione del
bilanciamento tra la scarsità delle risorse e
l’ampiezza dei bisogni. Se non c’è “tutto per
tutti”, come si sceglie? Col criterio del “chi
arriva prima prende”? O del più giovane? O di
chi ha più speranze di guarigione? O di chi può
pagare? Anche in questo caso, il coronavirus
mette in gioco le nostre strategie bioetiche. Se
non tutti possono avere tutto, chi può avere ciò
che c’è, fintanto che c’è? La bioetica
evangelica ha qualche pista di riflessione che
sia utile?
3. L’umanizzazione della
morte. La terza grande questione bioetica
dell’emergenza attuale riguarda il come si
muore. Dalle cronache apprendiamo che i malati
gravi di coronavirus vengono isolati nelle
terapie intensive e sottratti ai parenti e
amici. Molti muoiono soli, attaccati ad
apparecchi sofisticati, ma senza una presenza
cara che sia vicino. Anche i ricoverati meno
gravi sono quasi inaccessibili. Ci sono ovvie
ragioni sanitarie per questo isolamento, ma
anche qui una riflessione bioetica s’impone: la
morte del coronavirus è una morte
iper-tecnologizzata, ma de-umanizzata. Vogliamo
tutti più terapie intensive e macchinari per la
respirazione artificiale, ma siamo pronti a
pagare il prezzo di avvicinamenti alla morte
senza il conforto di chi ci è stato vicino per
una vita? La tecnologia sanitaria “impone” un
prezzo di umanità: morire in compagnia di C-pap
e tubi, ma senza nessuno intorno. Siamo sicuri
di volerlo pagare a tutti i costi? Anche su
questo punto, la bioetica evangelica non ha
nulla da dire?
Leonardo De Chirico
5/4/2020