Sfide per le chiese confessanti in tempi
di emergenza (XI)
Sulla
prossimità e sulla comunione fraterna
Per
una chiesa confessante
l’aspetto relazionale della comunione fraterna
non è solo un effetto
collaterale del ritrovarsi più volte a
settimana in una sala con le stesse
persone. La comunione fraterna è una
disciplina fondamentale della vita
cristiana. Subito dopo essere entrato in una
relazione personale con Dio, il
credente entra in una relazione di comunione
con altri fratelli e sorelle con
cui condivide tutto il cammino cristiano e con
i quali si adopera per
l’avanzamento del regno.
La
situazione anomala in cui ci
troviamo ci pone dinanzi nuove sfide su come
coltivare questa comunione e su
come essere prossimi alla nostra comunità.
Improvvisamente e senza essere preparati
infatti, ci siamo ritrovati impossibilitati a
ritrovarci insieme nei nostri
locali di culto, a pregare gli uni per gli
altri tenendoci per mano, ad
abbracciarci fraternamente, ad aprire le
nostre case per gli incontri di
preghiera o anche solo per un invito a
condividere un pasto insieme, e a non
poter celebrare la cena del Signore insieme.
Il
rispetto del distanziamento
sociale, sicuramente consigliabile in questo
momento, però non può e non deve
essere l’occasione per un ripiegamento su una
fede individualista. Restiamo
ancora membra di un corpo ampio e articolato.
Prima di interrogarci su come
possiamo essere vicini durante questa lontana
forzata, possiamo anche cogliere
l’opportunità di riflettere su come abbiamo
usato la comunione fraterna fino ad
ora, su che tipo di relazioni abbiamo
investito e su quanto siamo stati attivi
nel vivere l’unità cristiana che ci è stata
donata.
Per
grazia di Dio, affrontiamo la
pandemia in tempi in cui tenersi in contatto
con altri, seppur solo
virtualmente, è estremamente semplice. Sebbene
siamo consapevoli che una
vicinanza mediata dai social network o da
altre piattaforme non sia
paragonabile al rapporto che fratelli e
sorelle costruiscono in circostanze
normali, una situazione del genere ci chiama e
ci sprona alla creatività e
all’impegno in questo senso.
Le
nostre chiese sono sicuramente
formate da persone che stanno soffrendo una
straziante solitudine, da altre che
si ritrovano a vivere in piccoli spazi con
tante persone; da qualcuno che
affronta malattie o addirittura lutti senza il
conforto di nessuno, da anziani
che non possono ricevere le visite dei loro
cari, da bambini che non possono
giocare con i loro coetanei; ci saranno madri
che partoriscono in solitudine e
disabili in condizioni ancora più precarie.
Molti dei nostri fratelli e sorelle
sono messi alla prova da nuove condizioni di
lavoro o dall’incertezza sul
futuro delle loro attività.
L’emergenza
quindi, sebbene ci
abbia costretto alla solitudine dei nostri
appartamenti, ci offre anche
l’opportunità per coltivare una comunione
profonda e ci ricorda che il nostro
prossimo ha senz’altro bisogno delle nostre
preghiere, del nostro sostegno, di
ascoltare parole di incoraggiamento e di
edificazione. Quando torneremo a
spezzare il pane e bere il vino insieme, segno
della comunione con Cristo,
assicuriamoci di aver lavorato anche “Facendo attenzione gli uni agli altri per incitarci all'amore e alle
buone opere, non abbandonando la nostra
comune adunanza come alcuni sono soliti
fare, ma esortandoci a vicenda; tanto più
che vedete avvicinarsi il giorno” (Ebrei
10,23).
Chiara Lamberti
8/4/2020