Sfide per le chiese confessanti in tempi
di emergenza (XIII)
Sul
ridisegnare la mappa della vita sociale
Il
messaggio del coronavirus sembra chiaro. Col
linguaggio crudele che la creazione malata sa
usare quando vuol farsi sentire, ci dice che
l’ordine del discorso va cambiato. Anzi, che
è già cambiato. Le mappe su cui finora
abbiamo orientato i nostri percorsi di vita
sociale sono state ridisegnate. La scala dei
valori non è più la stessa e scenari fino a
poco tempo fa impercettibili, sono ora
riconoscibili. Io ne riconosco cinque. Provo a
delinearli.
La mappa
dell’economia. Sono bastate poche
settimane di confinamento e di lock-down per
tornare a rimettere in discussione i suoi
presupposti e il suo funzionamento. Sappiamo già
che alcune cose cambieranno e che la
globalizzazione subirà una trasformazione: i
processi e le catene produttive si ridurranno, i
mercati interni saranno privilegiati, i beni
essenziali e di prima necessità avranno un
profilo più nazionale. Inoltre, si investirà di
più nella sanità pubblica, la mobilità delle
persone si ridurrà e il ruolo dello Stato in
molti settori, a partire dall’economia,
crescerà. Lo stesso mondo del lavoro sarà
duramente colpito e il rischio che aumentino i
disoccupati è molto alto. I più vulnerabili –
senzatetto, immigrati e rifugiati, popolazioni
del quarto mondo – rischiano di essere
letteralmente abbandonati. Crescerà l’impegno
per un’economia che sosterrà la vita (salute,
istruzione, energia pulita, beni comuni,
circolarità).
La
cartografia del potere. La pandemia ha
accelerato la mutazione di ciò che si
considera autorità legittima. La scienza
(in primis, la medicina) e – soprattutto – la
tecnologia rischiano di diventare forze
totalitarie che modificheranno gli attributi
delle democrazie contemporanee. È evidente
come l’impatto dell’emergenza sanitaria sia
stato ammortizzato grazie all’uso di
tecnologie digitali sempre più avanzate.
Dall’individuazione al monitoraggio delle
infezioni, dall’enorme potenziale
dell’intelligenza artificiale alla gestione
delle informazioni e del disegno terapeutico,
le leadership della tecnologia e delle aziende
che la producono sono lampanti. Le nuove
tecniche mettono in discussione concezioni
della privacy ormai obsolete e il loro impatto
renderà necessaria una riformulazione della
cittadinanza: digitale, ma in che modo? La
portata della sfida è,dunque, ancora tutta da
scoprire, ma di certo non riusciremo più a
fare a meno di infrastrutture tecnologiche e
piattaforme digitali. La resilienza
dell’Occidente passa necessariamente da qui.
Il
disegno delle libertà fondamentali, a
partire dalla libertà di culto.
L’esperienza delle settimane passate ha
dimostrato la difficoltà di un bilanciamento
efficace tra rispetto della salute pubblica ed
esercizio del culto. Il format precedente,
almeno in Italia, sul piano formale assicurava
a tutti (a prescindere dalla fede professata)
il libero e pubblico esercizio del culto. Lo
Stato laico non può cioè che registrare e dare
adeguato riconoscimento alle istanze religiose
che provengono dalla società civile. Il
problema si presenta quando tali istanze
rischiano – per lungo tempo – di
essere liquidate come secondarie,
quasi inutili. Non si discute della necessità
di ricercare modalità di svolgimento di atti
di culto che non presentino rischi, ma
legittimare la compressione di libertà
fondamentali è sempre pericoloso.
La
planimetria
della paura. Il timore dinanzi al
virus diventa in questo modo la cifra morale
della nostra società della sopravvivenza in
cui tutte le energie vengono impiegate per
evitare la morte e allungare la vita.
La preoccupazione per la vita cede il passo
all’isteria della sopravvivenza, dove però fa
la sua ricomparsa in modo massivo, quasi
scenografico, l’esperienza della morte. Per
anni la nostra società ha fatto di tutto per
allontanarci dalla morte e dal suo pensiero.
Certo, conflitti, carestie e catastrofi ci
sono sempre stati e in parte ci coinvolgono …
ma il distanziamento etico ed emotivo dalla
morte era comunque garantito. E oggi che la
morte è processata in modalità quasi
industriale, non possiamo non avere paura. A
tutto questo non siamo più abituati: abbiamo
cercato di sopprimerla e adesso non sappiamo
come affrontarla. Non sappiamo neanche
elaborare il lutto. Nessuno ci prepara più
alla morte, eppure siamo nati per morire: ecco
perché la troviamo sempre più terrificante.
La
visione
cristiana del mondo. Nel
futuro
ormai prossimo sperimenteremo un’inaspettata
trasformazione e in questo processo la visione
cristiana del mondo e della vita potrà ancora
una volta rivelarsi “game-changer”,
motore di un cambiamento radicale, e dare un
contributo per superare tutti i limiti delle
ideologie tradizionali. Questo
però non significa che il contributo dei
cristiani sarà corretto a prescindere. Come
cristiani registriamo ancora numerosi
fallimenti, siamo culturalmente prigionieri di
un romanismo tacito, facilmente segnati da un
rampante materialismo e da uno stile di vita
dualistico. Si tratta di elementi da criticare
quali ostacoli allo sviluppo di una sana
cultura biblica e riformata nel nostro paese.
Ma il loro superamento non può che passare da
una ritrovata passione per un discepolato -
della mente e del cuore - autentico e da una
rinnovata enfasi sulla visione cristiana del
mondo. Il recupero sistemico della dimensione
della custodia e della cura rimane la cifra
della responsabilità cristiana e, nella
prospettiva di voler redimere tutte le sfere
della vita, rappresenta uno tra i primi passi
da realizzare. La visione cristiana del mondo
e della vita potrà davvero dare un contributo
alla società italiana e offrire una nuova
mappa per il futuro.
Giuseppe
Rizza
15/4/2020
|