Sfide per le
chiese confessanti in tempi di emergenza (III)
Sul raccogliere ciò che si è seminato
La temporanea
sospensione delle attività ordinarie della chiesa
nella modalità consuete pone un oggettivo limite
all’azione pastorale. Gli incontri interpersonali,
le riunioni comunitarie, i gruppi di preghiera e
di studio, … non si possono più tenere nelle forme
programmate. La pianificazione salta e va
ripensata. Le questioni lasciate in sospeso
difficilmente possono essere portate a
conclusione. I dialoghi pastorali aperti rimangono
tali e in attesa di tempi migliori.
L’evangelizzazione a cui si è abituati (si pensi
alla semplice distribuzione di un foglio, ora
vietata per evitare contatti e vicinanze) non può
più essere praticata come prima. I limiti
dell’azione pastorale e della vita della chiesa
vengono sperimentati in modo ancora più acuto
quando gli spazi di agibilità della chiesa si
comprimono. Non è tempo di grandi progetti
espansivi, ma di limitazione del danno di un
meccanismo inceppatosi.
L’emergenza del coronavirus è un’opportunità di
dipendere ancor più da Dio, viste le ancor più
evidenti lacune da parte nostra. Ma è anche
un’occasione per vagliare, saggiare, valutare il
nostro ministero e la qualità della vita della
chiesa nel suo complesso. Ciò che abbiamo seminato
nel corso degli anni porterà frutto nel tempo
dell’emergenza. Ora che al massimo predichiamo da
remoto, ciò che è stato predicato nel tempo sarà
ricordato e vissuto? Ora che non siamo vicino ai
fratelli e alle sorelle come vorremmo, il nostro
esempio di vita cristiana sarà “passato” nella
loro vita? Ora che non possiamo più testimoniarlo
direttamente, il nostro “sogno” per la vita, la
chiesa, il Paese, sarà stato assimilato e portato
avanti?
Nel libro della Genesi, Giuseppe poté affrontare
sette anni di carestia in Egitto solo perché nei
precedenti sette anni di abbondanza aveva
saggiamente amministrato le risorse copiose a
disposizione (Genesi 41). La nostra crisi può
essere pensata come una carestia in cui i
magazzini costruiti e riempiti nel corso del tempo
devono essere aperti ed utilizzati. Se sono pieni,
la chiesa prospererà. Se sono vuoti, la chiesa
soffrirà. Abbiamo preparato la chiesa a stare in
piedi e a camminare in circostanze come queste?
Abbiamo insegnato, modellato, spronato, dato
l’esempio nell’abbondanza della vita ordinaria
così da preparare la chiesa a sopravvivere e
fiorire in tempi di penuria? Anche se forse non ce
ne siamo accorti, abbiamo vissuto anni di
abbondanza che oggi ci sono tolti. Cosa mangerà il
popolo di Dio ora che cresce poco o niente?
“Quello che l’uomo avrà seminato, quello pure
mieterà” (Galati 6,7). Questo è forse il tempo in
cui la chiesa miete quello che abbiamo seminato.
Abbiamo edificato chiese che pregano? Ora lo si
vedrà. Abbiamo incoraggiato la formazione
permanente? Ora lo si evincerà. Abbiamo promosso
il sacerdozio universale dei credenti? Ora ne
vedremo gli effetti. Abbiamo costruito reti di
sostegno fraterno ed ecclesiale? Ora mostreranno
di che pasta sono fatti. Se abbiamo seminato poco
e male, non saranno la tecnologia o qualche
trucchetto improvvisato a sopperire ai magazzini
spiritualmente vuoti.
Ai tempi del re Saul, “in tutto il Paese d’Israele
non si trovava un fabbro” (1 Samuele 13,19).
Questa era una mancanza grave nella vita sociale
ed economica del Paese, ma sembra che non
costituisse un problema in tempo di relativa pace
coi Filistei. Era considerato “normale” o quasi
non avere fabbri e dare in appalto esterno la
fabbricazione e la manutenzione degli attrezzi di
metallo. Quando la guerra scoppiò, proprio nel
giorno della battaglia Israele realizzò che “non
si trovava né una spada né una lancia” (13,22).
Che disastro! A causa di leaders non previdenti e
compromessi, il popolo divenne così vulnerabile al
punto da essere soggiogato dal nemico. In tempi di
crisi e restrizioni, il nostro ministero e la
qualità della vita della chiesa vengono sottoposti
ad una verifica. E’ stata lungimirante, profonda,
fedele, concreta? Stiamo formando uomini e donne
maturi e guariti o ci accontentiamo di chiese che
hanno persone perennemente malate? Stiamo
predicando ed applicando l’intero consiglio di Dio
o qualche brandello di vangelo? Stiamo
consolidando comunità resilienti e missionali o
armate brancaleone che si squagliano di fronte
alla durezza della vita? Forse la pandemia del
coronavirus lo dirà, nella provvidenza di Dio. La
chiesa è di Dio e rimane tale, garantita dalla
promessa di Gesù (Matteo 16,18). In ogni caso,
quello che abbiamo seminato negli anni, la chiesa
mieterà in tempo di carestia.
Leonardo De Chirico
17/3/2020
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